La valle del Bove sull’Etna

La Valle del Bove è uno dei simboli dell’attività di continua modificazione del territorio dell’Etna. Vista dall’alto sembra la fetta mancante di un’enorme torta.

Oggi, infatti, si presenta come un grande avvallamento a forma di ferro di cavallo, con un fondo quasi piatto ricoperto da innumerevoli colate laviche storiche e preistoriche, che occupa la parte orientale della montagna.

La valle è aperta dal lato del mare verso Giarre e Riposto mentre è chiusa da tre pareti: quella a nord è denominata ‘Serra delle Concazze’ ed è alta circa 200 metri, ed è affiancata da diverse vette secondarie parallele alla parete stessa.

La parete a sud è alta 400 metri ed è chiamata ‘Serra del Salifizio’; essa è affiancata dalla ‘Schiena dell’Asino’ e finisce in alto con il cono chiamato ‘Montagnola’,  nato con l’eruzione del 1763, mentre in basso è chiusa dal Monte Zoccolaro, alto 1715 m s.l.m.

Ad ovest, verso i crateri sommitali, la valle è chiusa dal bordo del ‘Piano del Lago’ e dal cosiddetto ‘Belvedere’.

Tutte e tre le pareti sono caratterizzate dalla presenza di numerosi dicchi, una sorta di muraglioni che sono i residui degli antichi canali interni di alimentazione delle colate, oggi portati all’esterno dall’erosione.

La valle è molto importante perché attraverso lo studio degli strati delle pareti che la rinchiudono è possibile ricostruire la storia stessa del vulcano. Fino ad ora al suo interno sono presenti diverse bocche attive in passato: Trifoglietto I e II, Vavalaci, Cuvigghiuni, Serra Giannicola Grande.

Le cause della formazione della Valle del Bove non sono chiare e fra i vulcanologici si discute se sia stata prodotta dallo sprofondamento del centro eruttivo del Trifoglietto II o a causa dei processi di ‘scivolamento gravitativo’, cioè della caduta verso il basso del materiale vulcanico caratterizzato dalla sua instabilità.

La valle è stata utilizzata fin dagli anni trenta dagli sciatori e al suo interno era stato costruito, approfittando di una piccola sorgente d’acqua, anche un rifugio, dedicato alla memoria di Gino Menza, un pioniere dello sci catanese. Fino a pochi anni fa era utilizzata anche come zona di coltivazione e di pascolo ma poi, con l’eruzione verificatasi tra il 1991 e il 1993, è stata ulteriormente coperta di lava e quindi resa del tutto inutilizzabile. Oggi, comunque, svolge un ruolo molto importante perché in essa si riversano le frequenti  che è la bocca maggiormente attiva.

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